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Gli extraterrestri, la Grande
Crisi, la Terza Guerra Mondiale, la Guerra dei Mondi, Spazio 1999, la
Rivoluzione. Tutto era possibile per i nostri occhi bambini: l’invasione
degli alieni, dei sovietici, degli ultracorpi. La radiolina a transistor
raccontava che i vietcong avevano conquistato Saigon. Tutto era in
violento movimento. Per strada, sui tabelloni, Roma era a mano armata.
Kriminal e i fumetti di Max Bunker presidiavano le edicole, abitavano i
nostri sogni. Nei lunari paesaggi di Galeppini, i giusti cavalcavano tra
rocce e piombo caldo. Anni di piombo, anni in bianco e nero, anni di
scontri, bombe, morti. Nel buio delle case borghesi rilucevano le
diafane immagini dei telegiornali. Nel buio delle case borghesi si
temeva e si sognava la rivoluzione.
Vennero il colore e i cartoni animati giapponesi. Dietro il giornalista
che leggeva le ultime notizie, il sangue era diventato rosso, ma erano
ancora bianchi i lenzuoli stesi sulle strade dell’Urbe. Ammazzato un
segretario di partito, eliminato un papa, se ne faceva un altro.
Figurarsi un fascista: ucciderlo non era reato.
Come nei film, come nei cartoni animati, tutto era possibile. Il nostro
nome era Nessuno. Il nostro sguardo era sulla lontana nuvola del mucchio
selvaggio che avanzava. Diventare grandi, aspettare il nostro turno, un
giorno lontano, sempre più vicino. Uscire dalle nostre camerette color
arancio, lasciare la nostra infanzia, diventare uomini, come gli altri,
per vendicare gli altri, per difenderci dal male, per essere il male,
volare su un’astronave, sotto il vessillo di un teschio, cicatrice in
volto, banda scura sull’occhio, pistola sotto il mantello nero, un
sorriso, innalzando il cerchio e la croce, bandiera di coraggio e
libertà. Combattere, capitani solitari, nella grande notte. |
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Capita, sempre più spesso, di
domandarsi ancora per quale strano motivo un gruppo consistente di
persone, nel corso del tempo, abbia deciso di definirsi e proclamarsi
fascista anche moltissimi anni dopo la caduta del regime mussoliniano.
Il motivo non è facilmente rintracciabile dato che il termine “fascista”
include uno spettro di atteggiamenti e di opzioni ideologiche talmente
vasto e indecifrabile da renderne incomprensibile il significato. Anche
nelle conversazioni comuni, quando si ascolta “mio nonno era un
fascistone” possiamo pensare a un anziano parente dall’animo forte e
baldanzoso, probabilmente guidato da un percorso esistenziale fiero e
coerente, semmai anche un simpatico sciupafemmine vecchio stile, ma
anche un affettuoso e severo padre di famiglia osservante dei canoni
cattolici, senza escludere che possa essere invece un mangiapreti, un
attaccabrighe, un gagliardo dall’indole contestatrice, avventuriera e
libertina. In realtà con il termine “fascista” non si va oltre una
connotazione nominalistica o tutt’al più caratteriale anch’essa
bisognosa di essere meglio specificata.
Le contraddizioni discendono fin dalle origini. Il primo fascismo
sansepolcrista assemblava proclami socialisti, antiborghesi e
anticlericali con richiami all’ordine e repressioni antisindacali
appoggiate e ben viste anche da parte di ceti proprietari e produttivi.
Il dualismo e l’intreccio tra Fascismo Regime e Fascismo Rivoluzionario
si protrae per tutto il Ventennio e quest’ultimo riprende lo scettro
negli ultimi mesi di guerra con la stesura della “socialista” Carta di
Verona durante la Repubblica Sociale. Una dicotomia, un’offerta
ideologica a dir poco articolata, che probabilmente è stata anche la
chiave del consenso diffuso.
Anche nel dopoguerra ritroviamo, su scala ridotta, questo doppio
binario. Quello che era stato il Fascismo Regime è diventato un MSI
benpensante, filo-occidentale, bigotto, con esclusiva preoccupazione
anti-comunista e quindi in posizione sostanzialmente vassalla o
moderatamente critica nei confronti della DC. Nello scenario della
Guerra Fredda, il vecchio Fascismo Rivoluzionario si ritrova minoritario
e nei pochi e vivaci circoli intellettuali metropolitani quali Ordine
Nuovo di Pino Rauti che per un lungo periodo uscirà dal partito e nelle
pubblicazioni di Adriano Romualdi e di Julius Evola.
Nel 1968 le due anime del neofascismo evidenziano la loro distanza in
occasione della contestazione studentesca, appoggiata anche fisicamente,
come a Valle Giulia, da giovani romani del FUAN e invece criticata,
criminalizzata e addirittura combattuta dal MSI ufficiale che organizza
una spedizione all’Università La Sapienza contro il movimento
studentesco. Iniziativa squadrista guidata dal segretario Almirante e
dal deputato Caradonna che sarà tra i fondatori di Democrazia Nazionale
e un affiliato della massoneria piduista. L’evento porterà
l’emarginazione ulteriore del mondo giovanile neofascista che conoscerà
diaspore “verso sinistra” (es. nascita di Lotta di Popolo) e ulteriori
frammentazioni.
Con il Compromesso Storico tra DC e PCI e con la costruzione politica
dell’Arco Costituzionale, in concomitanza degli anni di piombo,
l’ambiente neofascista conosce una parziale riaggregazione dovuta al
concentrico assedio subito dalle istituzioni e dalla ricambiata violenza
dell’estrema sinistra. Parziale, perché il MSI in doppio petto di
Almirante, cercando di restare su posizioni di legge e ordine, dopo aver
tentato intese con la Dc di Fanfani in occasione del referendum sul
divorzio, vota a favore della Legge Reale che consente facili e
prolungati fermi di polizia e negli anni successivi chiederà il carcere
raddoppiato per gli estremisti neofascisti.
Il mondo giovanile neofascista assediato da tutti i lati tenta di
guadare i difficili anni Settanta passando attraverso la violenza,
l’emarginazione e la ricerca di un’identità diversa da quella
stereotipata attribuita dalla cultura dominante, dall’opinione pubblica,
ma anche da quella rappresentata dai suoi stessi esponenti e
simpatizzanti.
Partendo dagli insegnamenti di Pino Rauti, “il fascista rosso dello
sfondamento a sinistra”, molti giovani fascisti, quelli più
ideologicamente preparati, assumono posizioni e immaginari nuovi, di
rottura e provocazione, si pensi alla rivista letteralmente underground
“La Voce della Fogna” di Marco Tarchi. Prendendo spunto dai canoni e
dalle esperienze della sinistra extraparlamentare, nasce l’esperienza
dei campi hobbit sulla scia dei Campo Lambro del Proletariato Giovanile.
Riunioni all’aperto, tra concerti e dibattiti, al posto delle solite
velleitarie adunate fascistoidi in stile militare o da strapaese.
L’utilizzo della croce celtica come simbolo politico, oggi erroneamente
assimilata alla svastica, in luogo di fiamme o fasci littori,
rappresenta una discontinuità con il simbolismo tardo mussoliniano della
destra borghese almirantiana ancora attardata sul fenomeno storico del
fascismo e sulla sua oleografia frusta e feticista.
Le istanze movimentiste e alternative dei più giovani sono interpretate
e organizzate, tra le altre, dalla formazione extraparlamentare Terza
Posizione che rifiuta per se stessa la definizione “di destra” e si
dichiara sia contro il capitalismo americano (contro la DC, il liberismo
e le istituzioni borghesi) sia contro il blocco sovietico (la cultura
dominante, la sinistra parlamentare ed extraparlamentare), ma anche
contro il suo stesso ambiente di provenienza fatto di dirigenti e
simpatizzanti fermi su trincee di retroguardia qualunquiste e perbeniste
se non addirittura collusi con il potere. Il continuo sospetto di
muoversi sotto delle c.d. false flag, di essere utilizzati per conto di
organizzazioni più o meno segrete e atlantiste non abbandona mai i
militanti di “estrema destra” che, per segnare la loro distanza dalla
destra piccolo borghese e per marcare la loro identità rivoluzionaria,
attaccano le istituzioni e i suoi rappresentanti. Un sentimento di fiero
isolamento pervade questi ragazzi di TP, confinanti con gli ambienti
della lotta armata. Il loro simbolo è un pugno che imbraccia un martello
in una composizione runica. In loro non c’è l’idea di poter vincere una
guerra, ma solo la ricerca di belle battaglie e forse di una bella
morte. E la morte è la compagna di strada che attraversa tutto
l’ambiente del neofascismo: dalle comuni sezioni del MSI, alle vicende
dei ragazzi di Terza Posizione, fino alle estreme esperienze dei giovani
poi aderenti ai NAR che, dopo l’eccidio di Acca Larentia, sceglieranno
la risposta armata contro le forze dell’ordine e contro l’estremismo
rosso. Decine di giovani neofascisti saranno uccisi soltanto a Roma
nell’arco di pochi anni. Persone molto differenti tra loro, in
condizioni diverse, circondate, assediate e unite sotto una stessa
bandiera.
Dopo lo scioglimento, da parte della magistratura, delle formazioni
extraparlamentari quali Terza Posizione con relativa diaspora e fuga dei
militanti, al termine dell’epilogo violento degli ultimi anni Settanta
protratti a Roma fino ai primi anni Ottanta, la comunità “neofascista”
torna a vivere in una realtà politica più tranquilla. La parte
movimentista e con un certo bagaglio culturale e ideologico continua a
fare riferimento alla minoranza rautiana che raccoglie l’adesione dei
militanti più giovani. Dall’altra parte, dopo la morte di Almirante, il
suo delfino Gianfranco Fini, continua a rappresentare il solito
neofascismo qualunquista e patriottardo, bigotto, benpensante,
nominalmente mussoliniano, sottotraccia legato alla massoneria,
velleitario ma vagamente moderato, arroccato sui luoghi comuni e trincee
di retroguardia.
Nel 1990 Pino Rauti riesce a conquistare la Segreteria del partito, ma
nel volgere di un anno viene costretto alle dimissioni in seguito al
risultato elettorale non brillante nel voto regionale siciliano
controllato da mafia e massoneria. Gli uomini della sua corrente, anche
quelli che aveva “allevato” per anni, lo abbandonano in gran fretta per
salire sul carro di Fini che riprende la Segreteria. Gianfranco Fini,
uomo dalle qualità imperscrutabili, ha la fortuna di riprendere il
comando in prossimità del fenomeno giudiziario di Mani Pulite e
conseguente caduta della Prima Repubblica. Dopo aver sfiorato
clamorosamente la poltrona di sindaco a Roma, il suo MSI conquista,
fatto assolutamente inopinato e inedito, numerose città italiane di
media grandezza.
Con la svolta di Fiuggi del 1994 si celebra una vuota abiura del passato
neo-fascista e la nascita di Alleanza Nazionale inteso come partito di
centro-destra. Comincia l’involuzione e l’impoverimento di una comunità
che già di suo presentava grossi limiti e tare genetiche. In abbinamento
con la gioiosa corruzione berlusconiana, gli uomini di Alleanza
Nazionale non si distinguono per maggiore spessore ideologico e
comportamentale. Gianfranco Fini, uomo dalle qualità davvero misteriose
e con curiosa indole distruttiva, dopo aver disciolto il MSI, dopo aver
sacrificato la sua Alleanza Nazionale, tenta di mandare al macero anche
il PdL litigando con Berlusconi per un grande soprassalto competitivo
non meglio articolato e comprensibile. L’indole venale e rissosa,
inaffidabile, le qualità davvero scarse degli ex-rautiani e dei finiani
storici vengono alla luce con spettacolare evidenza. Senza alcuna
coerenza se non la ricerca di scranni, gran parte degli ex rautiani
restano aggrappati al Presidente della Camera, il loro acerrimo
avversario di una volta, mentre i finiani storici diventano quasi tutti
acerrimi detrattori del loro amato Segretario Fini e si trasformano in
berlusconiani di ferro. Su questo spettacolo crepuscolare, su questo
palcoscenico in decadente rovina, in questi mesi, la Storia sembra voler
chiudere il suo pudico e pietoso sipario.
E quando tutte le luci saranno spente, negli occhi di pochi rimarranno
le immagini dei giovani di molti anni prima che, chissà per quali
crudeli alchimie del Destino della Storia, nella Notte della Repubblica
si unirono in lotta contro tutti. Quei ragazzi sacrificarono anni della
loro vita, alcuni morirono, sotto un cerchio e una croce, la loro
bandiera di coraggio e libertà. |