SOTTO UNA STESSA BANDIERA

 
Dal Capitolo Sedicesimo

Gli extraterrestri, la Grande Crisi, la Terza Guerra Mondiale, la Guerra dei Mondi, Spazio 1999, la Rivoluzione. Tutto era possibile per i nostri occhi bambini: l’invasione degli alieni, dei sovietici, degli ultracorpi. La radiolina a transistor raccontava che i vietcong avevano conquistato Saigon. Tutto era in violento movimento. Per strada, sui tabelloni, Roma era a mano armata. Kriminal e i fumetti di Max Bunker presidiavano le edicole, abitavano i nostri sogni. Nei lunari paesaggi di Galeppini, i giusti cavalcavano tra rocce e piombo caldo. Anni di piombo, anni in bianco e nero, anni di scontri, bombe, morti. Nel buio delle case borghesi rilucevano le diafane immagini dei telegiornali. Nel buio delle case borghesi si temeva e si sognava la rivoluzione.
Vennero il colore e i cartoni animati giapponesi. Dietro il giornalista che leggeva le ultime notizie, il sangue era diventato rosso, ma erano ancora bianchi i lenzuoli stesi sulle strade dell’Urbe. Ammazzato un segretario di partito, eliminato un papa, se ne faceva un altro. Figurarsi un fascista: ucciderlo non era reato.
Come nei film, come nei cartoni animati, tutto era possibile. Il nostro nome era Nessuno. Il nostro sguardo era sulla lontana nuvola del mucchio selvaggio che avanzava. Diventare grandi, aspettare il nostro turno, un giorno lontano, sempre più vicino. Uscire dalle nostre camerette color arancio, lasciare la nostra infanzia, diventare uomini, come gli altri, per vendicare gli altri, per difenderci dal male, per essere il male, volare su un’astronave, sotto il vessillo di un teschio, cicatrice in volto, banda scura sull’occhio, pistola sotto il mantello nero, un sorriso, innalzando il cerchio e la croce, bandiera di coraggio e libertà. Combattere, capitani solitari, nella grande notte.

 
 

DIVAGAZIONI SU NEOFASCISMO E DINTORNI

 

Capita, sempre più spesso, di domandarsi ancora per quale strano motivo un gruppo consistente di persone, nel corso del tempo, abbia deciso di definirsi e proclamarsi fascista anche moltissimi anni dopo la caduta del regime mussoliniano. Il motivo non è facilmente rintracciabile dato che il termine “fascista” include uno spettro di atteggiamenti e di opzioni ideologiche talmente vasto e indecifrabile da renderne incomprensibile il significato. Anche nelle conversazioni comuni, quando si ascolta “mio nonno era un fascistone” possiamo pensare a un anziano parente dall’animo forte e baldanzoso, probabilmente guidato da un percorso esistenziale fiero e coerente, semmai anche un simpatico sciupafemmine vecchio stile, ma anche un affettuoso e severo padre di famiglia osservante dei canoni cattolici, senza escludere che possa essere invece un mangiapreti, un attaccabrighe, un gagliardo dall’indole contestatrice, avventuriera e libertina. In realtà con il termine “fascista” non si va oltre una connotazione nominalistica o tutt’al più caratteriale anch’essa bisognosa di essere meglio specificata.

Le contraddizioni discendono fin dalle origini. Il primo fascismo sansepolcrista assemblava proclami socialisti, antiborghesi e anticlericali con richiami all’ordine e repressioni antisindacali appoggiate e ben viste anche da parte di ceti proprietari e produttivi. Il dualismo e l’intreccio tra Fascismo Regime e Fascismo Rivoluzionario si protrae per tutto il Ventennio e quest’ultimo riprende lo scettro negli ultimi mesi di guerra con la stesura della “socialista” Carta di Verona durante la Repubblica Sociale. Una dicotomia, un’offerta ideologica a dir poco articolata, che probabilmente è stata anche la chiave del consenso diffuso.

Anche nel dopoguerra ritroviamo, su scala ridotta, questo doppio binario. Quello che era stato il Fascismo Regime è diventato un MSI benpensante, filo-occidentale, bigotto, con esclusiva preoccupazione anti-comunista e quindi in posizione sostanzialmente vassalla o moderatamente critica nei confronti della DC. Nello scenario della Guerra Fredda, il vecchio Fascismo Rivoluzionario si ritrova minoritario e nei pochi e vivaci circoli intellettuali metropolitani quali Ordine Nuovo di Pino Rauti che per un lungo periodo uscirà dal partito e nelle pubblicazioni di Adriano Romualdi e di Julius Evola.

Nel 1968 le due anime del neofascismo evidenziano la loro distanza in occasione della contestazione studentesca, appoggiata anche fisicamente, come a Valle Giulia, da giovani romani del FUAN e invece criticata, criminalizzata e addirittura combattuta dal MSI ufficiale che organizza una spedizione all’Università La Sapienza contro il movimento studentesco. Iniziativa squadrista guidata dal segretario Almirante e dal deputato Caradonna che sarà tra i fondatori di Democrazia Nazionale e un affiliato della massoneria piduista. L’evento porterà l’emarginazione ulteriore del mondo giovanile neofascista che conoscerà diaspore “verso sinistra” (es. nascita di Lotta di Popolo) e ulteriori frammentazioni.

Con il Compromesso Storico tra DC e PCI e con la costruzione politica dell’Arco Costituzionale, in concomitanza degli anni di piombo, l’ambiente neofascista conosce una parziale riaggregazione dovuta al concentrico assedio subito dalle istituzioni e dalla ricambiata violenza dell’estrema sinistra. Parziale, perché il MSI in doppio petto di Almirante, cercando di restare su posizioni di legge e ordine, dopo aver tentato intese con la Dc di Fanfani in occasione del referendum sul divorzio, vota a favore della Legge Reale che consente facili e prolungati fermi di polizia e negli anni successivi chiederà il carcere raddoppiato per gli estremisti neofascisti.

Il mondo giovanile neofascista assediato da tutti i lati tenta di guadare i difficili anni Settanta passando attraverso la violenza, l’emarginazione e la ricerca di un’identità diversa da quella stereotipata attribuita dalla cultura dominante, dall’opinione pubblica, ma anche da quella rappresentata dai suoi stessi esponenti e simpatizzanti.
Partendo dagli insegnamenti di Pino Rauti, “il fascista rosso dello sfondamento a sinistra”, molti giovani fascisti, quelli più ideologicamente preparati, assumono posizioni e immaginari nuovi, di rottura e provocazione, si pensi alla rivista letteralmente underground “La Voce della Fogna” di Marco Tarchi. Prendendo spunto dai canoni e dalle esperienze della sinistra extraparlamentare, nasce l’esperienza dei campi hobbit sulla scia dei Campo Lambro del Proletariato Giovanile. Riunioni all’aperto, tra concerti e dibattiti, al posto delle solite velleitarie adunate fascistoidi in stile militare o da strapaese. L’utilizzo della croce celtica come simbolo politico, oggi erroneamente assimilata alla svastica, in luogo di fiamme o fasci littori, rappresenta una discontinuità con il simbolismo tardo mussoliniano della destra borghese almirantiana ancora attardata sul fenomeno storico del fascismo e sulla sua oleografia frusta e feticista.

Le istanze movimentiste e alternative dei più giovani sono interpretate e organizzate, tra le altre, dalla formazione extraparlamentare Terza Posizione che rifiuta per se stessa la definizione “di destra” e si dichiara sia contro il capitalismo americano (contro la DC, il liberismo e le istituzioni borghesi) sia contro il blocco sovietico (la cultura dominante, la sinistra parlamentare ed extraparlamentare), ma anche contro il suo stesso ambiente di provenienza fatto di dirigenti e simpatizzanti fermi su trincee di retroguardia qualunquiste e perbeniste se non addirittura collusi con il potere. Il continuo sospetto di muoversi sotto delle c.d. false flag, di essere utilizzati per conto di organizzazioni più o meno segrete e atlantiste non abbandona mai i militanti di “estrema destra” che, per segnare la loro distanza dalla destra piccolo borghese e per marcare la loro identità rivoluzionaria, attaccano le istituzioni e i suoi rappresentanti. Un sentimento di fiero isolamento pervade questi ragazzi di TP, confinanti con gli ambienti della lotta armata. Il loro simbolo è un pugno che imbraccia un martello in una composizione runica. In loro non c’è l’idea di poter vincere una guerra, ma solo la ricerca di belle battaglie e forse di una bella morte. E la morte è la compagna di strada che attraversa tutto l’ambiente del neofascismo: dalle comuni sezioni del MSI, alle vicende dei ragazzi di Terza Posizione, fino alle estreme esperienze dei giovani poi aderenti ai NAR che, dopo l’eccidio di Acca Larentia, sceglieranno la risposta armata contro le forze dell’ordine e contro l’estremismo rosso. Decine di giovani neofascisti saranno uccisi soltanto a Roma nell’arco di pochi anni. Persone molto differenti tra loro, in condizioni diverse, circondate, assediate e unite sotto una stessa bandiera.

Dopo lo scioglimento, da parte della magistratura, delle formazioni extraparlamentari quali Terza Posizione con relativa diaspora e fuga dei militanti, al termine dell’epilogo violento degli ultimi anni Settanta protratti a Roma fino ai primi anni Ottanta, la comunità “neofascista” torna a vivere in una realtà politica più tranquilla. La parte movimentista e con un certo bagaglio culturale e ideologico continua a fare riferimento alla minoranza rautiana che raccoglie l’adesione dei militanti più giovani. Dall’altra parte, dopo la morte di Almirante, il suo delfino Gianfranco Fini, continua a rappresentare il solito neofascismo qualunquista e patriottardo, bigotto, benpensante, nominalmente mussoliniano, sottotraccia legato alla massoneria, velleitario ma vagamente moderato, arroccato sui luoghi comuni e trincee di retroguardia.

Nel 1990 Pino Rauti riesce a conquistare la Segreteria del partito, ma nel volgere di un anno viene costretto alle dimissioni in seguito al risultato elettorale non brillante nel voto regionale siciliano controllato da mafia e massoneria. Gli uomini della sua corrente, anche quelli che aveva “allevato” per anni, lo abbandonano in gran fretta per salire sul carro di Fini che riprende la Segreteria. Gianfranco Fini, uomo dalle qualità imperscrutabili, ha la fortuna di riprendere il comando in prossimità del fenomeno giudiziario di Mani Pulite e conseguente caduta della Prima Repubblica. Dopo aver sfiorato clamorosamente la poltrona di sindaco a Roma, il suo MSI conquista, fatto assolutamente inopinato e inedito, numerose città italiane di media grandezza.

Con la svolta di Fiuggi del 1994 si celebra una vuota abiura del passato neo-fascista e la nascita di Alleanza Nazionale inteso come partito di centro-destra. Comincia l’involuzione e l’impoverimento di una comunità che già di suo presentava grossi limiti e tare genetiche. In abbinamento con la gioiosa corruzione berlusconiana, gli uomini di Alleanza Nazionale non si distinguono per maggiore spessore ideologico e comportamentale. Gianfranco Fini, uomo dalle qualità davvero misteriose e con curiosa indole distruttiva, dopo aver disciolto il MSI, dopo aver sacrificato la sua Alleanza Nazionale, tenta di mandare al macero anche il PdL litigando con Berlusconi per un grande soprassalto competitivo non meglio articolato e comprensibile. L’indole venale e rissosa, inaffidabile, le qualità davvero scarse degli ex-rautiani e dei finiani storici vengono alla luce con spettacolare evidenza. Senza alcuna coerenza se non la ricerca di scranni, gran parte degli ex rautiani restano aggrappati al Presidente della Camera, il loro acerrimo avversario di una volta, mentre i finiani storici diventano quasi tutti acerrimi detrattori del loro amato Segretario Fini e si trasformano in berlusconiani di ferro. Su questo spettacolo crepuscolare, su questo palcoscenico in decadente rovina, in questi mesi, la Storia sembra voler chiudere il suo pudico e pietoso sipario.

E quando tutte le luci saranno spente, negli occhi di pochi rimarranno le immagini dei giovani di molti anni prima che, chissà per quali crudeli alchimie del Destino della Storia, nella Notte della Repubblica si unirono in lotta contro tutti. Quei ragazzi sacrificarono anni della loro vita, alcuni morirono, sotto un cerchio e una croce, la loro bandiera di coraggio e libertà.