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La Storia procede, se procede,
non è un fatto scontato, anche per evoluzione di arti, mode e costumi.
Le trasformazioni politiche e sociali nel corso del nostro dopoguerra
sono state caratterizzate dal succedersi di tendenze che hanno connotato
in modo significativo i singoli anni. Un occhio appena attento può
indovinare l’anno di produzione di un vecchio film italiano facendo caso
alle acconciature degli attori, al loro abbigliamento, al loro
linguaggio, al contesto nel quale si muovono, alla colonna sonora. Si
può dire che, fino ad una certa data, lo scorrere del tempo abbia avuto
un forte significato incidendo sulla stessa realtà quotidiana di tutti
noi oltre che sul più ampio scenario nazionale e internazionale. I salti
generazionali segnavano dei passaggi, erano fratture che generavano
nuove epoche. Oggi possiamo parlare di anni Cinquanta, Sessanta,
Settanta e Ottanta con una certa competenza attribuendo a ogni decennio
caratteristiche inconfondibili atte a essere rievocate e condivise.
Con la seconda metà degli anni Novanta, invece, si è cominciato a
perdere il senso di una direzione, di una identità. Non ci sono più
stati eventi o movimenti significativi, non ci sono state inedite
suggestioni o nuove tendenze, ma soltanto riproposizioni e citazioni di
mode, cose o idee già vissute. Insomma, ormai sembra che tutto sia già
stato. Come le sette note musicali, anche le idee sembrano essere in
numero limitato e ormai esaurito nelle diverse combinazioni. Chi, come
me, resta un eterno adolescente (probabile vittima e ostaggio di questa
aberrazione temporale), sa che oggi in tutte le discoteche si ascolta e
si balla quasi esclusivamente la c.d. musica revival di trenta anni
prima e oltre. Le mode e le tendenze sono le stesse di allora. Siamo a
uno stallo culturale ed emozionale nel quale vengono meno anche le
diversità e le identità generazionali. Come se negli anni Settanta i
giovani avessero ballato e si fossero vestiti seguendo la moda degli
anni Quaranta. Incredibile, assurdo, ma oggi avviene proprio questo.
Anche a livello basico di musica pop, è difficile individuare il
classico brano dell’estate che si farà ricordare. Insomma, possiamo
inquadrare, comprendere, rivivere gli anni del passato anche soltanto
riascoltando le relative hit parade. Oggi, con la tecnologia informatica
che ha costruito un immenso e fagocitante museo, appare venir meno non
solo il futuro, ma finanche il presente sempre più abitato dalle ombre e
dalle colonne sonore del passato.
Il romanzo “Bandiere nella Notte” si richiama ad uno degli ultimi
“attraversamenti temporali significativi” che è stato il passaggio dagli
anni Settanta agli anni Ottanta: i primi considerati quelli dell’impegno
politico e sociale, ma anche della violenza ideologica; i secondi quelli
del riflusso liberal-individualistico e del disimpegno gaudente.
Un passo indietro. Negli anni Sessanta, in campo musicale, il beat
(all’estero i primi Beatles, in Italia i primi “capelloni”, Equipe 84,
Dik Dik, Patty Pravo e Caterina Caselli), molto edulcorato rispetto ai
contenuti e alle condotte esistenziali rivoluzionarie del corrispondente
movimento americano, costituì comunque una rottura con il modello
melodico nostrano, per grosse linee interprete della vecchia cultura
bigotta, provinciale e democristiana. Le grandi contestazioni giovanili
del 1968 paradossalmente travolsero lo stesso movimento musicale beat
che passò il testimone al genere che connoterà gli anni Settanta
europei: il rock progressive.
Trattasi di un tipo di composizione con impianto molto complesso, dove
il rock abbandona i toni concitati del rock and roll per sposarsi con
strutture e sonorità della musica classica. Si caratterizza per la
notevole lunghezza dei brani e l’assenza del “refrain”, del motivetto
ricorrente, dei tre classici accordi del rock and roll, tutte cose che
oggi mal si concilierebbero con i codici di programmazione e utilizzo
commerciale che prevedono in quattro minuti il tempo massimo di
attenzione del fruitore medio. Altro elemento della musica progressive è
il concept, la storia, l’idea, la narrazione contenuta nel brano e
spesso nell’intero album inteso come manifesto culturale. Tali caratteri
ne fanno un tipo di musica “impegnata”, elitaria, talvolta
incomprensibile, abitata da frequenti citazioni letterarie utilizzate
con intento ed effetto psichedelico. Un prodotto di questo tipo negli
anni Settanta ebbe una diffusione di massa e una valenza aggregativa e
identitaria. Questo può farci intuire lo spessore dell’immaginario e del
gusto giovanile in quegli anni, se non altro il bisogno di una ricerca
che superasse i canovacci e i circuiti della musica commerciale di
facile ascolto. Da notare che i toni della musica progressive sono
tutt’altro che velleitari e rivoluzionari. Mentre i Led Zeppelin e
Rolling Stone, soprattutto i secondi, non lasciano la strada del rock
and roll, il movimento “prog” al posto delle aggressive chitarre usa
tastiere, mellotron, organi moog, apparati elettronici che generano
sinfonie rock, che evocano lisergiche fiabe medievali. Qualche purista
del rock vede nel fenomeno progressive un medioevo musicale, un buio
periodo di stanca, prima della rigenerante rivoluzione punk.
Prescindendo da giudizi di merito, in effetti è curioso che tra le vette
delle due rivolte giovanili del 1968 e del 1977 si sia formato questo
suggestivo lago di infinite ed evanescenti sinfonie classicheggianti. In
Italia, dove le tendenze arrivavano con un ritardo di un paio d’anni,
oltre a gruppi progressive quali la Premiata Forneria Marconi, Banco del
Mutuo Soccorso, New Trolls, Goblin, Area, è da considerare lo sviluppo e
il primato della musica cantautorale dove la narrazione e il concept
sono assolutamente centrali.
La seconda contestazione, quella punk del 1977, travolse anche e
soprattutto la musica progressive nata proprio nel 1968 e intesa da
alcuni come troppo complessa, introversa, concettosa, accademica,
autoreferenziale. Il ritorno agli accordi brevi, aggressivi del rock and
roll, i toni ossessivi e distorti di denuncia sociale dei Ramones, dei
Sex Pistoles, dei Clash, ci fanno intuire la natura di questa seconda
fase “protestataria” che rinuncia al progetto politico sessantottino, al
concept ideologico di lungo periodo, per buttarsi in un definitivo,
estetico e suicida impatto contro l’odiata società borghese, semmai per
rientrarvi.
L’esito delle contestazioni giovanili, durate una decina di anni, è
stato il cosiddetto “riflusso” degli anni Ottanta, l’abbandono
dell’impegno politico e sociale, il ritorno al privato. Questa tendenza
è raccontata, nell’ambito della musica alternativa, dalla diffusione di
due generi. Il genere metal che, con gli Iron Maiden, riprendendo il
filone Led Zeppelin, racconta una grande e cupa carica aggressiva ma
riconducibile più allo stile di vita e non impegnata nel sociale. E il
genere della c.d. musica e cultura dark, goth e new have che trae
elementi dal punk diluendoli e rallentandoli in chiave neo-romantica. In
essa prevalgono i toni scuri e minori, le evocazioni malinconiche,
estatiche, elettroniche che indicano un isolamento, una lugubre e
ieratica distinzione comunque rappresentata e celebrata anche in
affollate sale da ballo. Dopo i fondatori Joy Division e un numero vasto
di formazioni, oltre ai famosissimi The Cure dichiaratamente goth, anche
altri gruppi con grande seguito come U2, Simple Minds e Depeche Mode si
muovono su tonalità scure e romantiche. Il movimento goth si diffonde
all’inizio degli anni Ottanta e, per quel processo di stagnazione
temporale di cui sopra, seppur in dimensione contenuta, si conferma
ancora oggi come diffusa tendenza giovanile, riproposta anche da gruppi
musicali più recenti quali Editors, Interpool, The Killers, White Lies
nelle variazioni dance, folk, metal, tecno fino alle recenti e
discutibili manifestazioni “emo”.
Con la fine degli anni Ottanta viene meno il generarsi di nuove
tendenze. C’è in generale un discreto ritorno a look, atteggiamenti e
sonorità anni Settanta sullo stile Led Zeppelin con i pregevoli e
arrabbiati gruppi strumentali della costa est degli States quali Guns &
Roses, Nirvana, Soundgarden e Pearl Jam che sono il corrispondente, sul
piano musicale, del movimento no-global. Nella moda si riprendono gusti
di venti anni prima: giacche più attillate, donne con capelli lunghi e
lisci. In Italia Fabio Fazio conduce Anima Mia. E’ il segnale che il
tempo vero, quello delle novità, si sta fermando. Ricordiamo altro di
quegli anni? Forse una accattivante musica elettronica commerciale da
discoteca.
L’ultimo stadio, l’attuale, è costituito dalla culturale giovanile
dettata da MTV e da Maria De Filippi. Non esistono più nuovi gruppi
musicali che abbiano un vero successo, quello dirompente che conoscevamo
nei decenni precedenti. Il Rock trova le sue migliori nuove espressioni
nel c.d. indie rock che riprende sonorità goth con inflessioni di folk
nordico e gaelico e nel post-rock basato solo su componimenti
strumentali: restano e vogliono essere generi di nicchia. Un gruppo
musicale, bene o male, indicava una solidarietà di intenti, un progetto
culturale suggestivamente rivoluzionario. Oggi, come notava Massimo
Montano nel romanzo, non ci sono più bandiere, ma soltanto singole star,
fabbricate dalle multinazionali, oliate in musica hip hop, dotate di
trucco pesante, gran bei culi, belle gambe, buone voci e nessuna idea
nuova. Nessuna idea. Nessun concept. Solo motivetti buoni per le
suonerie dei cellulari.
Forse una nuova musica e nuove speranze sono vive sotto lo strato del
potere e dell’interesse economico, della produzione e della
comunicazione di massa. Forse la moltiplicazione dei mezzi di
comunicazione, le infinite possibilità di accesso e diffusione,
l’offerta smisurata, comportano anche una labirintica capillarizzazione
dei prodotti e delle novità che non diventano più oggetto di
condivisione e di suggestione di massa, non divengono bandiere comuni,
riferimenti epocali e identitari di una generazione. E allora, buon
viaggio nell’underground semmai tramite internet. Alla fine non faremo
niente di notevole, forse scopriremo, ciascuno per conto proprio, altre
cose interessanti del presente e del passato, questo passato salvato su
youtube, questo passato sempre più importante, affascinante e invadente.
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