Musica, Rivoluzione & altre storie

 
Dal Capitolo Tredicesimo
… Cambiai canale, c’erano le immagini di un video musicale americano con le solite squadracce di bellissime e oliatissime pop stars di colore che si scatenavano in pelviche torsioni. Scuotendosi sensualmente, predicavano dai loro bei labbroni rossi. Mi fissavano, dolci, cattive e strafottenti, con i loro caldi occhioni cerchiati di trucco. Parlavano, cantavano, agitavano le braccia, mi additavano a turno. Altro che video neoromantici di venti anni prima. Altro che sintetizzatori, cornamuse, visi pallidi e urla dalle scogliere del Nord. Niente più bandiere, inni e fuochi dalle rocce di Denver. Adesso nei video c’era la fica bella e buona.
 
Dal Capitolo Ventesimo
<<Aggiungo una terza immagine… più progressiva. Camminavo. Andavo tra uomini nudi, donne sfinite, glabre mostruosità, animali demoniaci. Giravo tra braci, incendi, forconi, intestini, spade, durlindane. Danzavo tra flauti, chitarre, trombe, tamburi, mellotron, moog, arpe, organi. Volavo tra farfalle e maiali. Avvistavo fuochi brulicanti, arcane sedizioni, lontane brigate, ignote bandiere, diaboliche processioni, grottesche inquisizioni. Mi alzavo tra lance, dardi, siringhe. Vedevo orribili iniziazioni, disarmate posture, contorte penitenze, mercanti diabolici, roventi cucchiai, aghi insanguinati, eterno dolore, perduta gente. Ero nel fantasmagorico giardino delle delizie.>>
Rinaldi era in una litografia di Bosch.
Rinaldi era un pazzo.
<<Come può ben capire in giro c’era troppa roba e troppa gente per essere un giardino delle delizie. Ci sarebbe voluta una potatura… una risistemata… per ricreare la nostra terra di fredde e terribili fiabe, di evanescenti genesi, con regnanti demoniaci e gentili giganti… non trova… Montano?
Il sole fu avvicinato da una nuvola nera. La sua ombra viaggiò sul mare, sulle onde, danzando sui crinali d’acqua, fino a riva, fino a noi, alla mano di Rinaldi. Teneva alti il medio, l’indice, il pollice.
Stretti.
Uniti.
Tesi.
Restai muto, nell’assenza di luce, nell’aria color piombo.
 
Dal Capitolo Trentaseiesimo
Dal mare una folata di vento. Intorno l’illuminazione si era fatta ancora più bassa. Il mare sembrava più vicino, portato avanti da un nuovo aliseo. Dietro l’ombra di Rinaldi, sulla spiaggia, tra i fuochi, avanzava una bandiera. Una bandiera scura, rivoltata dal vento, tra sagome di uomini.
Marciavano quegli uomini.
Cantavano.
<<Notre vie est un voyage, dans l’hiver et dans la Nuit, nous cherchons notre passage, dans le ciel où rien ne luit…>>
Seguì un profondo respiro dal mare e note d’organo, nascenti dal nulla, scortate da un tamburo di guerra. Timbri distorti, sempre più fermi, imperanti, potenti. Eco sincopato di una voce dominante, dolente. Chameleons. Dalle casse dello stabilimento le catacombali percussioni di Second Skin. Mi girava la testa, la mente. Nella mia mente un martello inesorabile, rassegnato, sublime. Vedevo occhi fermi e raggi ruotanti nel buio, abbaglianti, rientranti nelle tenebre. Volti pallidi nell’oscurità trafitta da allucinati sprazzi di luce. Scure divise su anfibi pesanti. Cadenze marziali. Camaleontici guardiani, eroi danzanti in lugubri e disciplinati contegni, sospinti, inchiodati, volteggianti sotto grandi bandiere, tra sognanti trionfi di morte.
 

DIVAGAZIONI SU
MUSICA, RIVOLUZIONE & ALTRE STORIE

 

La Storia procede, se procede, non è un fatto scontato, anche per evoluzione di arti, mode e costumi. Le trasformazioni politiche e sociali nel corso del nostro dopoguerra sono state caratterizzate dal succedersi di tendenze che hanno connotato in modo significativo i singoli anni. Un occhio appena attento può indovinare l’anno di produzione di un vecchio film italiano facendo caso alle acconciature degli attori, al loro abbigliamento, al loro linguaggio, al contesto nel quale si muovono, alla colonna sonora. Si può dire che, fino ad una certa data, lo scorrere del tempo abbia avuto un forte significato incidendo sulla stessa realtà quotidiana di tutti noi oltre che sul più ampio scenario nazionale e internazionale. I salti generazionali segnavano dei passaggi, erano fratture che generavano nuove epoche. Oggi possiamo parlare di anni Cinquanta, Sessanta, Settanta e Ottanta con una certa competenza attribuendo a ogni decennio caratteristiche inconfondibili atte a essere rievocate e condivise.

Con la seconda metà degli anni Novanta, invece, si è cominciato a perdere il senso di una direzione, di una identità. Non ci sono più stati eventi o movimenti significativi, non ci sono state inedite suggestioni o nuove tendenze, ma soltanto riproposizioni e citazioni di mode, cose o idee già vissute. Insomma, ormai sembra che tutto sia già stato. Come le sette note musicali, anche le idee sembrano essere in numero limitato e ormai esaurito nelle diverse combinazioni. Chi, come me, resta un eterno adolescente (probabile vittima e ostaggio di questa aberrazione temporale), sa che oggi in tutte le discoteche si ascolta e si balla quasi esclusivamente la c.d. musica revival di trenta anni prima e oltre. Le mode e le tendenze sono le stesse di allora. Siamo a uno stallo culturale ed emozionale nel quale vengono meno anche le diversità e le identità generazionali. Come se negli anni Settanta i giovani avessero ballato e si fossero vestiti seguendo la moda degli anni Quaranta. Incredibile, assurdo, ma oggi avviene proprio questo. Anche a livello basico di musica pop, è difficile individuare il classico brano dell’estate che si farà ricordare. Insomma, possiamo inquadrare, comprendere, rivivere gli anni del passato anche soltanto riascoltando le relative hit parade. Oggi, con la tecnologia informatica che ha costruito un immenso e fagocitante museo, appare venir meno non solo il futuro, ma finanche il presente sempre più abitato dalle ombre e dalle colonne sonore del passato.

Il romanzo “Bandiere nella Notte” si richiama ad uno degli ultimi “attraversamenti temporali significativi” che è stato il passaggio dagli anni Settanta agli anni Ottanta: i primi considerati quelli dell’impegno politico e sociale, ma anche della violenza ideologica; i secondi quelli del riflusso liberal-individualistico e del disimpegno gaudente.

Un passo indietro. Negli anni Sessanta, in campo musicale, il beat (all’estero i primi Beatles, in Italia i primi “capelloni”, Equipe 84, Dik Dik, Patty Pravo e Caterina Caselli), molto edulcorato rispetto ai contenuti e alle condotte esistenziali rivoluzionarie del corrispondente movimento americano, costituì comunque una rottura con il modello melodico nostrano, per grosse linee interprete della vecchia cultura bigotta, provinciale e democristiana. Le grandi contestazioni giovanili del 1968 paradossalmente travolsero lo stesso movimento musicale beat che passò il testimone al genere che connoterà gli anni Settanta europei: il rock progressive.
Trattasi di un tipo di composizione con impianto molto complesso, dove il rock abbandona i toni concitati del rock and roll per sposarsi con strutture e sonorità della musica classica. Si caratterizza per la notevole lunghezza dei brani e l’assenza del “refrain”, del motivetto ricorrente, dei tre classici accordi del rock and roll, tutte cose che oggi mal si concilierebbero con i codici di programmazione e utilizzo commerciale che prevedono in quattro minuti il tempo massimo di attenzione del fruitore medio. Altro elemento della musica progressive è il concept, la storia, l’idea, la narrazione contenuta nel brano e spesso nell’intero album inteso come manifesto culturale. Tali caratteri ne fanno un tipo di musica “impegnata”, elitaria, talvolta incomprensibile, abitata da frequenti citazioni letterarie utilizzate con intento ed effetto psichedelico. Un prodotto di questo tipo negli anni Settanta ebbe una diffusione di massa e una valenza aggregativa e identitaria. Questo può farci intuire lo spessore dell’immaginario e del gusto giovanile in quegli anni, se non altro il bisogno di una ricerca che superasse i canovacci e i circuiti della musica commerciale di facile ascolto. Da notare che i toni della musica progressive sono tutt’altro che velleitari e rivoluzionari. Mentre i Led Zeppelin e Rolling Stone, soprattutto i secondi, non lasciano la strada del rock and roll, il movimento “prog” al posto delle aggressive chitarre usa tastiere, mellotron, organi moog, apparati elettronici che generano sinfonie rock, che evocano lisergiche fiabe medievali. Qualche purista del rock vede nel fenomeno progressive un medioevo musicale, un buio periodo di stanca, prima della rigenerante rivoluzione punk. Prescindendo da giudizi di merito, in effetti è curioso che tra le vette delle due rivolte giovanili del 1968 e del 1977 si sia formato questo suggestivo lago di infinite ed evanescenti sinfonie classicheggianti. In Italia, dove le tendenze arrivavano con un ritardo di un paio d’anni, oltre a gruppi progressive quali la Premiata Forneria Marconi, Banco del Mutuo Soccorso, New Trolls, Goblin, Area, è da considerare lo sviluppo e il primato della musica cantautorale dove la narrazione e il concept sono assolutamente centrali.

La seconda contestazione, quella punk del 1977, travolse anche e soprattutto la musica progressive nata proprio nel 1968 e intesa da alcuni come troppo complessa, introversa, concettosa, accademica, autoreferenziale. Il ritorno agli accordi brevi, aggressivi del rock and roll, i toni ossessivi e distorti di denuncia sociale dei Ramones, dei Sex Pistoles, dei Clash, ci fanno intuire la natura di questa seconda fase “protestataria” che rinuncia al progetto politico sessantottino, al concept ideologico di lungo periodo, per buttarsi in un definitivo, estetico e suicida impatto contro l’odiata società borghese, semmai per rientrarvi.

L’esito delle contestazioni giovanili, durate una decina di anni, è stato il cosiddetto “riflusso” degli anni Ottanta, l’abbandono dell’impegno politico e sociale, il ritorno al privato. Questa tendenza è raccontata, nell’ambito della musica alternativa, dalla diffusione di due generi. Il genere metal che, con gli Iron Maiden, riprendendo il filone Led Zeppelin, racconta una grande e cupa carica aggressiva ma riconducibile più allo stile di vita e non impegnata nel sociale. E il genere della c.d. musica e cultura dark, goth e new have che trae elementi dal punk diluendoli e rallentandoli in chiave neo-romantica. In essa prevalgono i toni scuri e minori, le evocazioni malinconiche, estatiche, elettroniche che indicano un isolamento, una lugubre e ieratica distinzione comunque rappresentata e celebrata anche in affollate sale da ballo. Dopo i fondatori Joy Division e un numero vasto di formazioni, oltre ai famosissimi The Cure dichiaratamente goth, anche altri gruppi con grande seguito come U2, Simple Minds e Depeche Mode si muovono su tonalità scure e romantiche. Il movimento goth si diffonde all’inizio degli anni Ottanta e, per quel processo di stagnazione temporale di cui sopra, seppur in dimensione contenuta, si conferma ancora oggi come diffusa tendenza giovanile, riproposta anche da gruppi musicali più recenti quali Editors, Interpool, The Killers, White Lies nelle variazioni dance, folk, metal, tecno fino alle recenti e discutibili manifestazioni “emo”.

Con la fine degli anni Ottanta viene meno il generarsi di nuove tendenze. C’è in generale un discreto ritorno a look, atteggiamenti e sonorità anni Settanta sullo stile Led Zeppelin con i pregevoli e arrabbiati gruppi strumentali della costa est degli States quali Guns & Roses, Nirvana, Soundgarden e Pearl Jam che sono il corrispondente, sul piano musicale, del movimento no-global. Nella moda si riprendono gusti di venti anni prima: giacche più attillate, donne con capelli lunghi e lisci. In Italia Fabio Fazio conduce Anima Mia. E’ il segnale che il tempo vero, quello delle novità, si sta fermando. Ricordiamo altro di quegli anni? Forse una accattivante musica elettronica commerciale da discoteca.

L’ultimo stadio, l’attuale, è costituito dalla culturale giovanile dettata da MTV e da Maria De Filippi. Non esistono più nuovi gruppi musicali che abbiano un vero successo, quello dirompente che conoscevamo nei decenni precedenti. Il Rock trova le sue migliori nuove espressioni nel c.d. indie rock che riprende sonorità goth con inflessioni di folk nordico e gaelico e nel post-rock basato solo su componimenti strumentali: restano e vogliono essere generi di nicchia. Un gruppo musicale, bene o male, indicava una solidarietà di intenti, un progetto culturale suggestivamente rivoluzionario. Oggi, come notava Massimo Montano nel romanzo, non ci sono più bandiere, ma soltanto singole star, fabbricate dalle multinazionali, oliate in musica hip hop, dotate di trucco pesante, gran bei culi, belle gambe, buone voci e nessuna idea nuova. Nessuna idea. Nessun concept. Solo motivetti buoni per le suonerie dei cellulari.

Forse una nuova musica e nuove speranze sono vive sotto lo strato del potere e dell’interesse economico, della produzione e della comunicazione di massa. Forse la moltiplicazione dei mezzi di comunicazione, le infinite possibilità di accesso e diffusione, l’offerta smisurata, comportano anche una labirintica capillarizzazione dei prodotti e delle novità che non diventano più oggetto di condivisione e di suggestione di massa, non divengono bandiere comuni, riferimenti epocali e identitari di una generazione. E allora, buon viaggio nell’underground semmai tramite internet. Alla fine non faremo niente di notevole, forse scopriremo, ciascuno per conto proprio, altre cose interessanti del presente e del passato, questo passato salvato su youtube, questo passato sempre più importante, affascinante e invadente.